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Apri la pagina e trovi le parole, non i segni stampati. Trovi significati che ti conquistano. Escono dalle pagine, ti prendono mente, anima, coscienza. Non servirebbero prefazioni. Elena Alberti Nulli ha coltivato e cresciuto la grazia di dare un nome ad ogni cosa. La trama del racconto, i fatti, sorio il nome to delle cose. L’armonia della scrittrice del paese di’ Mondiell. coritadino-guida (li lVlonticelli, che ripete :Nfondieu al posto di “pota”, consiste anche nell’arer moclific(xto la costituZione della lingua, mettendo alla pari la composizione politica dell’italiuno e l’istiritività sacrale del dialetto, al punto che non sai più se sia venuto prima l’ano o l’altro. La lingua di Elena alber-ti Nulli è il viso caro dei ,5ernplicl, l’alleanza dei prati, la bontà dei cieli e gli occhi cztigelicustodi’ di sli a madre: Metà cielo rnctù erba. Il contesto è tutto prima degli esodi, grandi epiccoli, interni ed esterni, dalle città edalh carnpagne. F’ oltre mezzo secolo di Novecento. Lei nella casa iil via Bezzecca quattro, altri in cOritrade, in aie, i.n quartieri. Ci ricongiunge parimenti a. quei giorni; la lingua del silenzio e dei rumori umani, il coro delle stagioni, il sentire del cielo, il pudre di domenica ricino al turatum, moltiplicato per tre. del treno sotto il cuvulcai-icz e 1’arisia, in lontananza, di lina madre per sempre. La rn.adre, soprattutto. Delle orazioni e(lei dolci, delle.fiI)bri e dei brutti voti, dei pochi baci e dei lucciconi per quando non sarà più. Una madre piange suo figlio nel momento in cui nasce, poi il suo amore è la somma infinita digesti contro l’addio. Elena Alberti Nulli eredita tutta sua madre, diventa sua madre e insieme si raccontano ai figli bresciani. C’era un volta una casa con il cassetto dei tananai, delle cose non essenziali, con un cortile per direfarebaciareletteratestamen,to, dove si fanno salti mortali per arrivare alla fine del mese, la madre inumidisce gli occhi dei figli e dei parenti con l’acqua santa del sabato di Pasqua, il padre mette una chiara d’uovo in un fiasco e il giorno dopo esce un veliero. Dove ascolti perfino l’eco morale e antiletterario di lasciar stare D’Annunzio, per amore del cielo e la sua Duse, perché da quelli non c’è nulla da imparare; meglio sentire i rimbalzi di Leopardi e di Pascoli, di Pietro il pescatore, della Madonna e del Signore, che sono lì ricini, in qualche angolo della casa, pronti a saltar fuori, addosso ai nemici della madre, del padre e dei f igli. Una casa di medicine all’olio di ricino e di merluzzo, con una cucina “superba”, cento tipi di patate e ogni tanto una cotoletta, in cui la carne “è una piccola isola in un mare di delizia e di chiare montate”. Una casa, scrive impareggiabilmente Elena Alberti Nulli, di grani di sale, cioè di proverbi nati dalla giornata e messi a dividere in parti il libro, a tocchi di dodici alla volta. Per esempio: “mandà zó amar e spùdà dols”, ” inghiottire le amarezze e sorridere”, oppure “esser el striibiù del sicér” “essere lo straccetto del lavandino, non contare nulla”. Poi, il miracolo della neve, l’afasia improvvisa del grande predicatore dal pulpito, che si condanna da solo alla superbia, così come la madre della nostra scrittrice, che scherza coi santi e si denuncia “superba” su una torta smontata. Ancora, il temporale buono, senza grandine e l’arcobaleno ladro di colori già esistenti. E la mònega dentro il letto dell’ inverno, la mònega di un tepore a regola d’arte. Su tutto, il Signore, la buona coscienza di un lavoro operoso, il rispetto per gli altri. Su tutto, gli occhi metà cielo metà erba di Elena Alberti Nulli. Anzi, di sua madre. “I nostri genitori credono in Dio come nel respiro che viene dai polmoni”, conclude la scrittrice poetessa e traduce ai,figli, i quali se vorranno lo tradurranno ai loro figli e così via, che il miracolo delle cose e delle parole nasce lontano e tutti possono provare. E ogni tanto il miracolo riesce. Come questa perla di memorie che verranno buone. Metà cielo metà erba. Tonino Zana