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L’autore si è preso, e lui si confessa, la libertà della costrizione obbligata in cui la professione lo dominava ed ha, con un titolo da interpretare, steso un diario come volesse registrare la sua voce per riascoltarla. Ha cercato di istruire, nelle frazioni di tempo liberato, dalle forme di dialogo con certi autori in bella vista nella sua biblioteca e dai quali si sentiva rimproverato. Ha ripreso confidenza con le ragioni dello spirito, meglio, si potrebbe dire, con le ragioni dell’anima.
Un continuo viaggio verso il passato: dirà, in una riga del primo capitolo, che “…l’anima galleggia sulla cultura giudaico-cristiana”. Porterà sempre con sè l’immagine dell’uomo dai capelli bianchi sul treno veloce, silenzioso col grosso volume di antico rilegato, guida di un percorso scandito tra il timore e lo slancio, tra il ripiegamento e la proiezione fino alla collina delle Torricelle che si illude, imamgina, vuole pensare come una sosta non di evasione ma di osservanza di ciò che l’interiorità ordina e pretende.
Penna intinta nei grandi silenzi, incerta e dubbiosa di fronte agli esami di coscienza, ferita nella fede (Don Arturo), complice di una sofferenza che chiede di essere liberata (Welby), penna che subisce la consolazione e il fascino di un padre che perde il figlio (Grossman), che si arresta in piccole soste convocata da vecchi maestri di cultura e di politica (Bologna, Firenze) e si accompagna con panorami di storia e natura che si popolano di serenità (Agostino e Maritain).
Pagine umane in cui si le insidie e le aperture dello spirito segnano il ritmo del diario.